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Il fiore appassisce ma non in provetta

di Marco Alfieri

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23 settembre 2009


Ci sono i piccoli cestini di canna per l'imballaggio sicuro, destinazione San Pietroburgo e Vienna. E ci sono le prime operaie che confezionano i bouquet per i più bei vasi del jet set internazionale. Foto sinuose, di un bianconero sgranato, coda di un mondo di ieri che corre inconsapevole verso il burrone del conflitto mondiale. Foto di fiori bellissimi, fiori del Ponente ligure...
La storia dell'industria dei fiori nasce a Sanremo in piena Belle Epoque. Ma l'origine è precedente e ha una data precisa: Ospedaletti, 3 maggio 1874. Quando Luigi Bessi, che ogni giorno va al mercato per acquistare fiori dall'ortolano, fa un incontro che gli cambia la vita. Massaie sanremesi, signore e domestiche della colonia forestiera, assieme a frutta e verdura comprano anche fiori di prato e piante, le volte che ci sono. Una mattina mentre Luigi Bessi rincasa incontra un commerciante parigino di tessuti di nome Julien, che svernava ogni anno tra Sanremo e Nizza. È allora che monsieur Julien, sorseggiando un bitter, fa notare al Bessi che quei suoi fiori di prato, se si fossero avuti a Parigi, quel mattino, e a quella stessa ora, si sarebbero venduti a peso d'oro. «Non c'è problema», dice il Bessi. «Dimmi solo dove devo spedirteli». Nasce così la prima azienda floreale di tutti i tempi, la Julien & Bessi, che ogni mattina spedisce a Parigi due ceste di violette di Taggia, di rose del Poggio, di anemoni e ranuncoli dei campi. Seguiranno il primo mercato floreale della Riviera, inaugurato nel 1894. Fino a quel Louis Isnard che arriva a Ospedaletti come giardiniere della Société Foncière Lyonnaise per innestarvi il garofano e fondarvi la prima scuola al mondo di floricoltura. Ponente caput mundi, insomma. Le foto lo immortalano, con il mercato tedesco letteralmente inventato dagli esportatori sanremesi, che negli anni d'oro del boom economico arrivano a fare l'80% dell'intero business mondiale.
In realtà il florovivaismo è un comparto tremendamente sfrangiato, pieno di specializzazioni diverse. C'è il fiore reciso, la coltivazione delle bulbose e delle piante in vaso, quella delle piante fiorite, delle piante da giardino e mediterranee e via elencando. A spanne, 2mila specie. Di certo, oggi l'Italia da paese produttore si è trasformato per lo più in mercato di consumo. Produciamo appena il 5% della quota mondiale. La storia è lunga e riaprirebbe vecchie ferite, investendo scelte industriali prese negli anni Sessanta che di fatto finiscono per emarginare brutalmente l'agricoltura. L'interesse era evidentemente politico: i famosi 4 milioni di voti delle campagne e poco altro.
Dal Duemila le aree di grande produzione seguono invece sostanzialmente la sun belt, la cintura del sole dove le giornate sono più luminose: il Kenya delle rose terse e lucide, e ultimamente l'Uganda e l'Etiopia, dove ci sono aziende da 6.500 ettari controllate da multinazionali occidentali oppure da gruppi autoctoni ma con tecnologia tedesca e olandese. Aziende che vendono in area euro perché relativamente vicine e con manodopera a basso prezzo. Idem in Colombia e Ecuador, anche se la distanza dal mercato europeo (il vecchio continente consuma il 60% della produzione globale di fiori) penalizza il loro export, che resta orientato su Usa e Giappone.
La crisi economica arriva in mezzo a questa nuova divisione globale: una produzione delocalizzata negli ultimi 15 anni, ma canali di consumo ancora tradizionali. Ai Pvs i fiori non piacciono. Cinque euro di consumo pro capite contro gli 80 della Norvegia. La botta è forte perché taglia del 20% i consumi mondiali, con l'Olanda, l'hub mondiale della commercializzazione e della logistica del fiore che traballa impietosamente (nei primi sei mesi del 2009 sono saltate 25 aziende produttrici), nonostante la fusione dei suoi mercati nella mega piattaforma FlorHol, un gigante da 4 miliardi di fatturato.
E in Italia? A soffrire di più è il fiore reciso, perché la competizione porta i prezzi più in basso e il consumatore spende di meno. Prima i cimiteri erano una roccaforte, oggi anche nelle chiese si preferisce la pianta in vaso, che fa scena e dura di più. Basta un dato: dai 70 euro di consumo pro capite di metà anni 90, ai 35 di oggi. Inoltre, il 60% del consumo di piante da giardino è a carico delle Pa, che in anni di bilanci smagriti hanno ridotto molte spese accessorie.
tWalter Incerpi, 55 anni, a metà anni 70 ha fondato la cooperativa Flora Toscana di Pescia. Centosessanta produttori (per 160 ettari coltivati) che portano i propri fiori in coop per la commercializzazione. «I primi bagliori di crisi - spiega Incerpi - arrivano a metà degli anni 90». È qui che la cooperativa da punto di ammasso del prezzo diventa via via fornitrice di servizi. «Paradossalmente lo tsunami dell'ultimo biennio ci ha trovati quasi assuefatti: il settore naviga a vista da quando le produzioni internazionali si sono fatte concorrenziali e il mercato di riferimento è diventato quello olandese. Noi stessi lo usiamo per completare la nostra gamma». Non a caso solo il 60% sul totale vendite è prodotto dai soci. Vendite destinate al mercato locale per il 12% del fatturato, pari a 19 milioni. Mentre il 30% passa dalla Gdo e il 46% è venduto all'ingrosso.
«Eppure è dura lo stesso - ragiona Incerpi -. L'unica è specializzare l'offerta. Un po' lo stiamo facendo: ad esempio, abbiamo aperto a Firenze uno show room dedicato a fioristi e ambulanti». Il salto culturale non è dietro l'angolo per tanti agricoltori che hanno vissuto la floricoltura come strumento per affrancarsi dalla mezzadria. «Quando ho terminato la scuola - ricorda - mio padre mi disse che era meglio se mi trovavo un'altra strada. Per lui il florovivaismo è stato un modo per comprarsi la casa e un pezzo di terra». Uscire dalla povertà. «Non certo un'attività commerciale redditizia». Dunque poco investimento e poca innovazione. «Ancora oggi non esiste un grande polo logistico in Italia, nonostante il mercato dei fiori sia nato in Riviera. Il paradosso - prosegue Incerpi - è che a noi costa meno mandare un carrello di fiori in Olanda, dove hanno sistemi di codifica, di imballi e trasporto all'avanguardia, che a un cliente in Veneto, capite?».
  CONTINUA ...»

23 settembre 2009
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